Il “no!” dei bambini

Quanti di voi si sono imbattuti nella fase del “No!” del proprio figlio a 2-3 anni?

La psicologa  risponde alle tue domande sui comportamenti infantili.

Quanti si sono trovati spiazzati da questo atteggiamento?

Ciò che colpisce i genitori, solitamente, è il cambiamento repentino del comportamento del figlio, prima più accondiscendente e rispettoso nei loro confronti. Il bambino passa da un momento in cui ascolta e rispetta molto il proprio genitore, ad un periodo evolutivo in cui il “No!” è ormai la parola d’ordine a qualsiasi proposta della mamma o del papà.

Quindi, cosa sta accadendo?

Innanzitutto è importante riconoscere e rassicurare voi genitori spiegando come questa fase del “No!” a 2-3 anni, sia una tappa fondamentale ed importante del bambino, che gli permette di cominciare a creare una propria identità e a riconoscersi come “altro” dal genitore. Con il suo “no” il bambino cerca di costruirsi una propria sfera personale, caratterizzata da emozioni e vissuti propri, indispensabile per poter raggiungere una completa fase di separazione dalla figura adulta successiva.

Vi chiederete ora come dovrebbe però a questo punto comportarsi il genitore.

Ok è una fase importante, ma dovremmo lasciarlo libero di fare qualsiasi cosa?

psicologia infantie, 2-3 anni, no dei bambini

Assolutamente no. In questi casi, il comportamento del genitoriale dovrebbe permettere al proprio figlio di vivere questa fase evolutiva importante, aiutandolo così a costituire una sua identità,  senza lasciarne però al proprio figlio il completo controllo. In questo modo, potrebbe esserci il rischio di fare “dominare” eccessivamente il figlio, che potrebbe successivamente trovarsi smarrito senza limiti o figure autoritarie di riferimento.

Il genitore potrebbe quindi lasciare, talvolta, al bambino la possibilità di rispondere in modo negativo, mantenendo però un comportamento flessibile, che dall’altra parte continui a porre limiti e a fungere da contenimento per il bambino stesso. Assumendo questo atteggiamento, il genitore dovrebbe cercare di non reagire alle provocazioni del figlio in modo eccessivo, mantenendo  un tono deciso e fermo che faccia sentire il bambino protetto e contenuto adeguatamente. Si potrebbe, per esempio, proporre al bambino di svolgere insieme ciò che gli è stato chiesto e che ha rifiutato, o per esempio posticiparlo a più tardi, dunque accettando il NO del bambino, post ponendo però l’esecuzione del compito a più tardi.

Non esitate a commentare nel caso aveste domande o dubbi in merito, sarò lieta di potervi rispondere!

Dott.ssa Debora Govoni debora.govoni2@gmail.com

Bambini: difficoltà a studiare?

 

difficoltà di studio bambini; psicologia infantile; dsa

 

E’ piuttosto comune che un bambino non abbia voglia di studiare, o che comunque lo studio gli crei qualche difficoltà.

Anche a voi è capitato di vedere vostro figlio deconcentrarsi o avere problemi nello svolgimento dei compiti?

Come comportarsi in queste situazioni?

Ecco alcuni consigli su come affrontare le difficoltà scolastiche.

E’ importante, per il genitore, chiedersi quale sia la causa delle difficoltà e iniziare l’indagine confrontandosi con il proprio figlio.

Un primo ascolto attento permetterà al bambino di sentirsi maggiormente compreso e risulterà utile al genitore per farsi un’idea sulla reale gravità della situazione.

Non tutti i casi sono uguali, ognuno potrebbe infatti evidenziare problemi differenti.

Alcuni bambini potrebbero riscontrare difficoltà inerenti all’apprendimento, oggi comunemente definite Dsa. Trattasi di disturbi legati al  lessico, ai calcoli matematici e alla scrittura. La diagnosi del Dsa è di norma svolta sottoponendo il bambino a test psicodiagnostici specifici, ed è di competenza di un Neuropsichiatra. Molte scuole, in ogni caso, sono dotate di sistemi di screening volti a individuare la problematica, al fine di segnalarla ai genitori.

Potrebbero invece emergere difficoltà di tipo emotivo, metodologico o di concentrazioneNei casi di minore gravità, il problema può essere risolto in ambito familiare, garantendo al bambino ascolto e un aiuto concreto. Qualora tuttavia i rimedi adottati non diano frutti, è opportuno rivolgersi a uno psicologo, concedendo al bambino uno spazio personale nel quale si senta libero di esternare i propri pensieri.

Il bambino potrebbe, per esempio, non sentirsi all’altezza del compito, reputandosi inadeguato. In questa situazione, è fondamentale garantirgli un sostegno forte e costante, che possa trasmettergli fiducia.

Non va escluso a priori, tuttavia, che si tratti di un problema meramente metodologico. In tal caso, la soluzione migliore è aiutare il proprio figlio a inventare un nuovo metodo di studio, più interessante e magari persino più divertente del precedente.

Qualora il problema sia individuabile in una tendenza alla deconcentrazione, occorre individuare ciò che preoccupa il bambino. Avendo dato sfogo ai suoi pensieri, egli potrà così successivamente impegnarsi sul compito con “la testa più leggera”.

In conclusione, in tutti i casi sopra esaminati, l’arma principale che ogni genitore ha a disposizione è il dialogo. Solo attraverso un contatto diretto con il bambino sarà infatti possibile individuare il problema e decidere che soluzione adottare per risolverlo.

Se avete domande o curiosità su questo tema, non esitate a contattarmi!
Dott.ssa Debora Govoni: deboragovoni2@gmail.com
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