Aggressività nei bambini: come gestirla?

Vostro figlio comincia ad adottare condotte aggressive?

Ecco alcuni consigli al riguardo.

Per prima cosa, è importante riconoscere la funzionalità della spinta aggressiva dei figli, la quale è fondamentale per lo sviluppo della fiducia in sé stessi. E’ proprio attraverso l’aggressività “positiva”, infatti, che il bambino comincia ad auto-affermare se stesso.

Per esempio, in contesto scolastico, il bambino che si impossessa del gioco di un compagno dichiarando “E’ mio!”, sta affermando la propria autonomia e competitività. Episodi di questo tipo, soprattutto se sporadici, risultano comuni e in un certo senso fisiologici.

Diversa dall’aggressività “positiva” è invece quella “negativa”, la quale implica atteggiamenti eccessivi, quali aggressioni fisiche o la distruzione di oggetti. In tali ipotesi è fondamentale la vostra reazione nei confronti del problema. A seguito del comportamento “oppositivo”, la spinta aggressiva assume, agli occhi del bambino, il valore che voi genitori decidete di attribuirgli. E’ quindi importante parlare con fermezza, condannando la condotta tenuta, senza tuttavia alzare eccessivamente i toni.

Un altro errore da evitare è quello di definire davanti a vostro figlio la situazione come “ingestibile”. Allo stesso modo, infine, non bisogna assolutamente ignorare il problema, sperando che tutto si risolva da sé.

Cosa può accadere se si reagisce in modo sbagliato?

Una eccessiva limitazione delle condotte tenute da vostro figlio rischia di portarlo ad assumere un atteggiamento passivo. Le continue censure potrebbero infatti minare le certezze che il bambino sta cercando di acquisire, generando in lui un forte senso di insicurezza e inducendolo a richiedere costantemente la vostra presenza.

Un atteggiamento eccessivamente rigido potrebbe portare anche a una reazione diametralmente opposta, sebbene in egual misura negativa. Il bambino infatti, vedendosi costantemente ripreso, potrebbe gradualmente iniziare a non dare alcun peso alle vostre parole, convinto che ogni sua azione andrebbe comunque incontro a un rimprovero.

Definire l’aggressività di vostro figlio come “ingestibile” o enfatizzare eccessivamente la negatività delle sue azioni, potrebbe portarlo a sentirsi spaventato da se stesso, nonchè inadeguato.

Ignorare il problema, infine, potrebbe persino ingigantirlo. Il bambino, sorpreso dall’assenza di una reazione da parte vostra, potrebbe sentirsi ignorato e messo da parte. Questa consapevolezza potrebbe portare vostro figlio a riproporre comportamenti ancora più plateali per essere notato.

Come gestire l’aggressività in eccesso

aggressività nei bambini; psicologaadolescenzabologna

Un modo per arginare l’aggressività negativa è, senza dubbio, porre dei limiti.

Tale espediente permette al bambino di modulare il proprio comportamento e di riconoscere il confine tra ciò che è bene e ciò che è male. Crescendo, il bambino interiorizzerà questi limiti e riuscirà a individuare autonomamente l’atteggiamento adeguato ad ogni circostanza.

 Regole certe e giuste danno al bambino sicurezza, facendolo sentire protetto.

Può succedere che un genitore si senta “cattivo” nell’imporre al figlio dei divieti. In realtà, in queste occasioni bisogna considerare che i limiti genitoriali, se posti mostrando comprensione e lasciando adeguato tempo al bambino per comprenderne la motivazione, producono un indiscutibile effetto benefico. Il segreto sta nel riconoscere la difficoltà del bambino e approcciarsi con lui in modo empatico, ricorrendo a frasi quali: “Lo so che eri molto arrabbiato, ma (…) non si fa”. In tal modo si creerà un clima di complicità, il quale costituisce un presupposto fondamentale per la risoluzione di qualsiasi problematica in quest’ambito.

In conclusione, se i vostri figli hanno atteggiamenti aggressivi, sforzatevi di essere allo stesso tempo fermi e comprensivi. Ciò contribuirà a rafforzare il vostro ruolo genitoriale, e allo stesso tempo a cementificare il rapporto di fiducia genitore-bambino.

 

Qualora abbiate domande o curiosità su questo tema, non esitate a contattarmi!

Dott.ssa Debora Govoni: deboragovoni2@gmail.com

 

La scelta del partner: perché proprio lui/lei?

Da cosa è influenzata la scelta di coppia e come è ricollegabile al nostro passato

La scelta del partner si basa, principalmente, sulla convinzione che egli sia la persona che meglio riesce a soddisfare i nostri bisogni e a sopperire alle nostre fragilità

Se ciò è chiaro a tutti, meno scontato è il fatto che spesso vi sia la tendenza a ricercare nel partner tratti caratteriali identici a quelli dei propri genitori. La radice di tale comportamento può risiedere nell’ammirazione che ognuno di noi nutre verso chi ci ha cresciuti, ma non di rado è riconducibile al desiderio di superare le difficoltà relazionali  insorte in ambito familiare.

Affrontare e risolvere con il partner questioni rimaste in sospeso con i propri genitori è un modo per curare indirettamente le ferite del passato. L’obiettivo inconscio, in pratica, è quello di riuscire a correggere i difetti che il partner ha in comune con la figura genitoriale di riferimento.

“Cosicchè l’amore contiene in sè la contraddizione tra il tentativo di tornare al passato e il tentativo di annullarlo” (Crimini e Misfatti, Woody Allen).

la scelta del partner

La teoria dell’attaccamento di Bolwby

Secondo John Bolwby, famoso per aver elaborato la teoria dell’attaccamento, l’uomo sceglie i propri legami affettivi in base al modello relazionale instauratosi tra lui e i propri genitori. Nello specifico, secondo tale teoria, sono rinvenibili diversi stili di attaccamento.

Lo stile sicuro è caratterizzato dalla capacità di vivere esperienze intime serene ed equilibrate, generate da una relazione solida e positiva con la figura materna.

Lo stile insicuro evitante è invece contraddistinto dal timore dell’intimità e da una mancanza di fiducia negli altri. L‘adulto che presenta questa tipologia di attaccamento ha sperimentato una relazione genitoriale caratterizzata da numerosi rifiuti e da una scarsa interazione.

Lo stile insicuro ansioso/ambivalente, infine, è caratterizzato dalla paura che il partner non sappia o non voglia essere di sostegno nei momenti di bisogno. Tale modello si origina in presenza di figure genitoriali che adottano nei confronti dei figli condotte ambigue e incoerenti.

Secondo Bolwby, dunque, ognuno di noi tende a riproporre all’interno dei nuovi rapporti le dinamiche relazionali sviluppatesi in ambito familiare. Un ruolo fondamentale è tuttavia svolto anche dalla maniera in cui ognuno di noi reagisce agli stimoli esterni, a prescindere dalla natura di questi ultimi. Infatti, mentre l’adulto sicuro tenderà nella quasi totalità dei casi ad avvicinarsi ad un altro modello disponibile ed equilibrato, l’adulto insicuro (evitante o ambivalente) potrà, a un certo punto, dirottare la propria ricerca verso una tipologia di partner di tipo sicuro, spinto dal bisogno di equilibrare la propria sfera emotiva.

In conclusione, sebbene la ricerca della dolce metà risulti fortemente influenzata dal background familiare di ognuno di noi, anche chi provenga da un contesto deficitario è in grado di instaurare una relazione sana ed equilibrata. D’altronde, il fine ultimo di chiunque si imbarchi in una nuova relazione è quello di soddisfare uno dei bisogni più profondi dell’uomo: quello di amare e di essere amati.

 

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Black Mirror, “Arkangel”: cosa comporta l’eccessivo controllo

Avete visto la puntata “Arkangel” di Black Mirror?

Cosa può essere successo nella mente di Sara a causa del chip sperimentale impiantatole?

Come accuratamente spiegato nell’episodio, attraverso il sistema operativo “Arkangel”, la madre di Sara può controllare la sua salute, vedere tramite i suoi occhi e sapere in ogni momento dove si trova. Ma l’opzione più estrema è senza dubbio quella che permette di neutralizzare gli stimoli negativi provenienti dall’esterno, oscurandone la presenza attraverso la sfocatura dell’immagine.

Questa puntata porta alla luce una profonda riflessione critica nei confronti delle relazioni madre-bambino caratterizzate da atteggiamenti genitoriali disfunzionali e, talvolta, morbosi. Nella madre di Sara spiccano infatti un forte bisogno di controllo materno sulla bambina e un desiderio di “iperprotezione”.

iperprotezione in arkangel

Sara, relazionandosi con immagini filtrate, fatica nel raggiungimento di una piena consapevolezza del mondo esterno e delle relative reazioni corporee. La presenza delle esperienze negative, infatti, è necessaria e funzionale: permette ai bambini di riconoscere gradualmente le risposte fisiologiche di paura, tristezza e angoscia, interiorizzandole e facendole proprie.

Resasi conto dell’influenza negativa che il sistema operativo produce su Sara, la madre decide di disattivare l’opzione che impedisce alla bambina di interfacciarsi senza filtri al mondo esterno. Tale decisione,  sebbene corretta, risulta tuttavia tardiva, esponendo Sara a troppe immagini forti, senza un approccio graduale alla realtà. In balia di un’altalena emotiva, la bambina non è ora in grado di controllare le proprie reazioni, risultando incapace di valutare correttamente la gravità di determinati atteggiamenti.

Eliminato il filtro, alla madre resta pur sempre la facoltà di violare il mondo di Sara, attraverso un display che le mostra in diretta ciò che vede sua figlia.

La ragazza è in tal modo privata, oltre che della privacy, del libero arbitrio, nonchè della possibilità di sperimentare autonomamente le proprie esperienze (positive e negative).

La conclusione drammatica dell’episodio è la tragica conseguenza della situazione patologica che “Arkangel” aveva contribuito a creare.

É fondamentale che i genitori concedano ai figli, soprattutto durante l’adolescenza e la preadolescenza, la possibilità di crearsi una propria realtà privata e segreta. In questo modo, l’ingresso nell’età adulta e il distacco dal nido familiare possono avvenire in maniera fisiologica, permettendo ai figli di divenire pian piano indipendenti e consapevoli di sé.

2018: il nuovo anno vi mette ansia?




Gli ultimi giorni dell’anno portano spesso alla mente tanti ricordi. L’uno di gennaio fa invece sorgere in ognuno di noi speranze, aspettative e nuovi obiettivi.

E se l’arrivo di questo nuovo anno ci facesse sentire entusiasti ma anche un po’ sotto pressione?

Come mai dopo i bagordi di capodanno ci siamo alzati pieni di energie, ma anche inaspettatamente tesi?

Quando un anno termina, si è soliti ripassare mentalmente i momenti, le situazioni e le sensazioni che ci hanno segnato. Si ripensa a come alcune cose siano inevitabilmente finite, cambiate, maturate o peggiorate.

Relativamente ad esseansia; aspettative; nuovo anno, ci si pongono domande su come si potrebbe migliorare e  su cosa si potrebbe cambiare. Ci si osserva dall’esterno, alla ricerca di un’autovalutazione obiettiva:

“Ho fatto tutto il possibile? Di cosa non sono contento? Cosa potrei fare per migliorare?”

Tutti, la notte del 31, ci siamo addormentati cullati dalle stesse domande, sperando di risvegliarci nel 2018 con qualche risposta in più.

Dopo ogni vacanza, è comune che ci si senta più tesi del solito, come se fosse cambiato qualcosa. Ciò vale a maggior ragione dopo la pausa natalizia, sotto il peso delle aspettative derivanti dal nuovo anno.

Iniziare qualcosa, infatti, comporta di norma la nascita di attese e speranze per il futuro, che possono caricarci emotivamente, generando un’ansia leggera e fisiologica. Qualora tuttavia l’asticella venga posta esageratamente al di sopra delle nostre possibilità, può sorgere in noi un eccessivo stato di preoccupazione.

Per quanto possa risultare difficile, abbassare un po’ i propri obiettivi potrebbe essere la soluzione più semplice. E’ importante che questa strategia, però, si applichi senza sminuire la fiducia in se stessi e senza aspirare ad aspettative riduttive rispetto alle proprie potenzialità. In quest’ottica, il fallimento deve essere considerato come un rischio calcolato, e non come una sconfitta. Il nostro scopo non deve essere la perfezione, ma la piena realizzazione di noi stessi.

Cosa succede se si abbassano le aspettative?

L’espediente sopra esposto consente di vivere in modo più spontaneo e leggero la propria quotidianità, godendosi sia i risultati ottenuti, che il loro raggiungimento. La forte tensione, dovuta al timore di non raggiungere gli obiettivi prefissati, può in tal modo essere convertita in “ansia positiva”. È infatti importante ricordare che quest’ansia, quando accompagnata da aspettative congrue, è per noi una grande risorsa e un’importante alleata: essa migliora la concentrazione e attiva le nostre risposte fisiologiche in caso di situazioni di pericolo.

Provare ansia è qualcosa di umano, importante ed estremamente funzionale.

Per questo nuovo anno, è dunque importante chiedersi se le nostre attese sono troppo pretenziose o, al contrario, realizzabili. È necessario domandarsi se l’ansia che si sente sia proporzionata e leggera, come ad ogni nuovo inizio, o eccessiva e sproporzionata rispetto a ciò che ci aspetta.

Richiedere troppo a noi stessi rischia di portare ad un fallimento evitabile e di farci sentire molto più insicuri di quanto siamo realmente. Aspettarsi qualcosa di raggiungibile ed equilibrato, viceversa, può darci la forza di realizzare ogni nostro desiderio.

Se avete domande o curiosità su questo tema, non esitate a contattarmi!
Dott.ssa Debora Govoni: deboragovoni2@gmail.com
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