Adolescenti e social network: come gestirli?

Con l’arrivo dei social network e del web, essere genitori risulta ancora più difficile.

Questo perché i genitori devono avvicinarsi per le prime volte ad un mondo poco conosciuto e, di conseguenza, imprevedibile e “rischioso”.

Cosa suggerire, quindi, a voi genitori di queste nuove generazioni?

In primo luogo, penso sia importante per voi affrontare questo tema con rilassatezza e senza eccessivo timore. 

Incominciare a vivere il social network ed il web come una risorsa per vostro figlio è il primo passo da fare, riconoscendone i numerosi aspetti positivi. Ad oggi, il mondo social è qualcosa che fa parte indiscutibilmente della sua vita, ed un atteggiamento di “attacco” nei confronti del Web lo farebbe probabilmente sentire incompreso.

Vi si consiglia, quindi, di affrontare questo argomento attraverso il dialogo, condividendo con lui gli interessi e le ricerche principali. Per esempio, gli potreste chiedere: “che cosa stai cercando in rete?”, mostrando di apprezzare la sua riposta e aiutandolo in questa sua “missione”.

L’obiettivo è dunque quello di ACCOMPAGNARE vostro figlio nella scoperta dei media, senza vietargliene l’utilizzo.

In che modo, vi chiederete, lo si può accompagnare?

 adolescenza e social network

Una delle prime cose da fare è quella di stabilire delle regole: concordare, quindi, con vostro figlio gli orari e i limiti dell’utilizzo dei media ed insistere perché questi vengano da lui rispettati.

Suggerirei di sottolineargli l’importanza della prudenza rispetto ai propri dati personali, della “riservatezza” di alcuni argomenti e di ciò che il “mettere in pubblico” può significare per lui e per coloro che leggono ciò che scrive.

Chiedergli, per esempio, di riflettere su come potrebbe essere interpretato ciò che pubblica da estranei, porterebbe la conversazione su cosa significa parlare pubblicamente di sé in una società in rete.

Inoltre, evitare di violare la sua privacy, entrando sul suo profilo o leggendo di nascosto ciò che scrive, è fondamentale per non minare il clima di fiducia del vostro rapporto: rispettare lo spazio che vostro figlio si è creato sui social, assicurandosi che li stia vivendo ed utilizzando nel modo adeguato, lo farà sentire protetto e compreso.

Una volta fatto questo, è giusto lasciargli lo spazio per fare esperienza in questo nuovo mondo, guardandolo da lontano. Così voi potrete continuare ad essere presenti, sebbene a debita distanza, cercando di capire sempre quello che sta accadendo, per poi lasciare le cose scorrere da sé.

In fondo, “rinchiudersi nella tecnologia” è uno dei tanti modi che vostro figlio ha di ricercare un suo piccolo mondo privato. Ed è normale che questo avvenga in rete, luogo in cui oggi i ragazzi sanno di poter stare insieme e potersi incontrare.

 

Qualora abbiate domande o curiosità su questo tema, non esitate a contattarmi! 

Dott.ssa Debora Govoni: deboragovoni2@gmail.com

Indecisione: come mai è così difficile scegliere?

Quante volte ci è capitato di non riuscire a scegliere?

Vivere momenti di indecisione è qualcosa che capita a tutti noi, sia per le piccole che per le grandi decisioni. Ci si rivolge spesso alcune domande, come per esempio: “Forse devo smettere di fare questo lavoro?”, “Devo o non devo mettere uno stop a questa relazione?”, “Preferirei questo o quello?”.

Quindi QUANDO l’indecisione può diventare un problema?

Questo dipende, principalmente, dal grado di “intensità” con cui si tendono ad evitare alcune scelte o decisioni. In alcuni casi, l’essere indecisi può essere un aspetto del nostro carattere che varia in base alle differenti circostanze, senza però essere esagerato od eccessivo: la difficoltà è quindi a volte lieve e, in altri momenti, più intensa.

Al contrario, in alcunindecisione; psicologabolognae situazioni, l’indecisione può immobilizzarci a tal punto da spingerci a delegare costantemente le scelte ad altri o a rimandare sempre più avanti il difficile momento della decisione.

Ciò può accadere per svariate ragioni.

Talvolta la paura di sbagliare con la conseguente possibilità di incontrare un fallimento assumono per noi un valore così importante da mandarci completamente in “tilt”. In altre occasioni, l’assunzione di responsabilità ci risulta essere un carico troppo grande da sostenere ed accettare, poiché collegata ad errori commessi nel passato.

La difficoltà decisionale è spesso collegata al profondo timore di contattare la nostra parte meno conosciuta, nonché più vera ed istintiva. Questa dimensione nascosta ci spaventa in quanto sede del nostro ‘desiderio’: pulsione libidica più autentica, ma anche più imprevedibile e “pericolosa”.

Cosa fare quindi nel caso di indecisione “eccessiva”?

E’ vero che delegare le scelte è sicuramente una risposta comoda, ma vogliamo davvero far scegliere della nostra vita ad altri? Se la risposta è no e questa difficoltà ci tormenta, è importante dare spazio a quello che è il nostro desiderio, in quanto spinta vitale orientata ai più differenti obiettivi (università, lavoro, relazioni, affetti).

E’ consigliabile, quindi, alimentare questa nostra spinta pulsionale allontanandoci gradualmente dalle aspettative e dalle attese degli altri, definendo e costruendo qualcosa di personale ed intimo, che sia solo nostro. Potremo così soddisfare i nostri bisogni più profondi e dare vita a nuovi progetti, assumendone i rischi con maggior leggerezza.

L’obiettivo è, in conclusione, quello di assecondare i nostri desideri più autentici traendo giovamento dalle relazioni con gli altri, senza esserne però schiacciati. In questo modo, ascoltandoci di più ed assumendoci le nostre responsabilità, una scelta non potrà mai rivelarsi davvero sbagliata.

 

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Aggressività nei bambini: come gestirla?

Vostro figlio comincia ad adottare condotte aggressive?

Ecco alcuni consigli al riguardo.

Per prima cosa, è importante riconoscere la funzionalità della spinta aggressiva dei figli, la quale è fondamentale per lo sviluppo della fiducia in sé stessi. E’ proprio attraverso l’aggressività “positiva”, infatti, che il bambino comincia ad auto-affermare se stesso.

Per esempio, in contesto scolastico, il bambino che si impossessa del gioco di un compagno dichiarando “E’ mio!”, sta affermando la propria autonomia e competitività. Episodi di questo tipo, soprattutto se sporadici, risultano comuni e in un certo senso fisiologici.

Diversa dall’aggressività “positiva” è invece quella “negativa”, la quale implica atteggiamenti eccessivi, quali aggressioni fisiche o la distruzione di oggetti. In tali ipotesi è fondamentale la vostra reazione nei confronti del problema. A seguito del comportamento “oppositivo”, la spinta aggressiva assume, agli occhi del bambino, il valore che voi genitori decidete di attribuirgli. E’ quindi importante parlare con fermezza, condannando la condotta tenuta, senza tuttavia alzare eccessivamente i toni.

Un altro errore da evitare è quello di definire davanti a vostro figlio la situazione come “ingestibile”. Allo stesso modo, infine, non bisogna assolutamente ignorare il problema, sperando che tutto si risolva da sé.

Cosa può accadere se si reagisce in modo sbagliato?

Una eccessiva limitazione delle condotte tenute da vostro figlio rischia di portarlo ad assumere un atteggiamento passivo. Le continue censure potrebbero infatti minare le certezze che il bambino sta cercando di acquisire, generando in lui un forte senso di insicurezza e inducendolo a richiedere costantemente la vostra presenza.

Un atteggiamento eccessivamente rigido potrebbe portare anche a una reazione diametralmente opposta, sebbene in egual misura negativa. Il bambino infatti, vedendosi costantemente ripreso, potrebbe gradualmente iniziare a non dare alcun peso alle vostre parole, convinto che ogni sua azione andrebbe comunque incontro a un rimprovero.

Definire l’aggressività di vostro figlio come “ingestibile” o enfatizzare eccessivamente la negatività delle sue azioni, potrebbe portarlo a sentirsi spaventato da se stesso, nonchè inadeguato.

Ignorare il problema, infine, potrebbe persino ingigantirlo. Il bambino, sorpreso dall’assenza di una reazione da parte vostra, potrebbe sentirsi ignorato e messo da parte. Questa consapevolezza potrebbe portare vostro figlio a riproporre comportamenti ancora più plateali per essere notato.

Come gestire l’aggressività in eccesso

aggressività nei bambini; psicologaadolescenzabologna

Un modo per arginare l’aggressività negativa è, senza dubbio, porre dei limiti.

Tale espediente permette al bambino di modulare il proprio comportamento e di riconoscere il confine tra ciò che è bene e ciò che è male. Crescendo, il bambino interiorizzerà questi limiti e riuscirà a individuare autonomamente l’atteggiamento adeguato ad ogni circostanza.

 Regole certe e giuste danno al bambino sicurezza, facendolo sentire protetto.

Può succedere che un genitore si senta “cattivo” nell’imporre al figlio dei divieti. In realtà, in queste occasioni bisogna considerare che i limiti genitoriali, se posti mostrando comprensione e lasciando adeguato tempo al bambino per comprenderne la motivazione, producono un indiscutibile effetto benefico. Il segreto sta nel riconoscere la difficoltà del bambino e approcciarsi con lui in modo empatico, ricorrendo a frasi quali: “Lo so che eri molto arrabbiato, ma (…) non si fa”. In tal modo si creerà un clima di complicità, il quale costituisce un presupposto fondamentale per la risoluzione di qualsiasi problematica in quest’ambito.

In conclusione, se i vostri figli hanno atteggiamenti aggressivi, sforzatevi di essere allo stesso tempo fermi e comprensivi. Ciò contribuirà a rafforzare il vostro ruolo genitoriale, e allo stesso tempo a cementificare il rapporto di fiducia genitore-bambino.

 

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La scelta del partner: perché proprio lui/lei?

Da cosa è influenzata la scelta di coppia e come è ricollegabile al nostro passato

La scelta del partner si basa, principalmente, sulla convinzione che egli sia la persona che meglio riesce a soddisfare i nostri bisogni e a sopperire alle nostre fragilità

Se ciò è chiaro a tutti, meno scontato è il fatto che spesso vi sia la tendenza a ricercare nel partner tratti caratteriali identici a quelli dei propri genitori. La radice di tale comportamento può risiedere nell’ammirazione che ognuno di noi nutre verso chi ci ha cresciuti, ma non di rado è riconducibile al desiderio di superare le difficoltà relazionali  insorte in ambito familiare.

Affrontare e risolvere con il partner questioni rimaste in sospeso con i propri genitori è un modo per curare indirettamente le ferite del passato. L’obiettivo inconscio, in pratica, è quello di riuscire a correggere i difetti che il partner ha in comune con la figura genitoriale di riferimento.

“Cosicchè l’amore contiene in sè la contraddizione tra il tentativo di tornare al passato e il tentativo di annullarlo” (Crimini e Misfatti, Woody Allen).

la scelta del partner

La teoria dell’attaccamento di Bolwby

Secondo John Bolwby, famoso per aver elaborato la teoria dell’attaccamento, l’uomo sceglie i propri legami affettivi in base al modello relazionale instauratosi tra lui e i propri genitori. Nello specifico, secondo tale teoria, sono rinvenibili diversi stili di attaccamento.

Lo stile sicuro è caratterizzato dalla capacità di vivere esperienze intime serene ed equilibrate, generate da una relazione solida e positiva con la figura materna.

Lo stile insicuro evitante è invece contraddistinto dal timore dell’intimità e da una mancanza di fiducia negli altri. L‘adulto che presenta questa tipologia di attaccamento ha sperimentato una relazione genitoriale caratterizzata da numerosi rifiuti e da una scarsa interazione.

Lo stile insicuro ansioso/ambivalente, infine, è caratterizzato dalla paura che il partner non sappia o non voglia essere di sostegno nei momenti di bisogno. Tale modello si origina in presenza di figure genitoriali che adottano nei confronti dei figli condotte ambigue e incoerenti.

Secondo Bolwby, dunque, ognuno di noi tende a riproporre all’interno dei nuovi rapporti le dinamiche relazionali sviluppatesi in ambito familiare. Un ruolo fondamentale è tuttavia svolto anche dalla maniera in cui ognuno di noi reagisce agli stimoli esterni, a prescindere dalla natura di questi ultimi. Infatti, mentre l’adulto sicuro tenderà nella quasi totalità dei casi ad avvicinarsi ad un altro modello disponibile ed equilibrato, l’adulto insicuro (evitante o ambivalente) potrà, a un certo punto, dirottare la propria ricerca verso una tipologia di partner di tipo sicuro, spinto dal bisogno di equilibrare la propria sfera emotiva.

In conclusione, sebbene la ricerca della dolce metà risulti fortemente influenzata dal background familiare di ognuno di noi, anche chi provenga da un contesto deficitario è in grado di instaurare una relazione sana ed equilibrata. D’altronde, il fine ultimo di chiunque si imbarchi in una nuova relazione è quello di soddisfare uno dei bisogni più profondi dell’uomo: quello di amare e di essere amati.

 

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Black Mirror, “Arkangel”: cosa comporta l’eccessivo controllo

Avete visto la puntata “Arkangel” di Black Mirror?

Cosa può essere successo nella mente di Sara a causa del chip sperimentale impiantatole?

Come accuratamente spiegato nell’episodio, attraverso il sistema operativo “Arkangel”, la madre di Sara può controllare la sua salute, vedere tramite i suoi occhi e sapere in ogni momento dove si trova. Ma l’opzione più estrema è senza dubbio quella che permette di neutralizzare gli stimoli negativi provenienti dall’esterno, oscurandone la presenza attraverso la sfocatura dell’immagine.

Questa puntata porta alla luce una profonda riflessione critica nei confronti delle relazioni madre-bambino caratterizzate da atteggiamenti genitoriali disfunzionali e, talvolta, morbosi. Nella madre di Sara spiccano infatti un forte bisogno di controllo materno sulla bambina e un desiderio di “iperprotezione”.

iperprotezione in arkangel

Sara, relazionandosi con immagini filtrate, fatica nel raggiungimento di una piena consapevolezza del mondo esterno e delle relative reazioni corporee. La presenza delle esperienze negative, infatti, è necessaria e funzionale: permette ai bambini di riconoscere gradualmente le risposte fisiologiche di paura, tristezza e angoscia, interiorizzandole e facendole proprie.

Resasi conto dell’influenza negativa che il sistema operativo produce su Sara, la madre decide di disattivare l’opzione che impedisce alla bambina di interfacciarsi senza filtri al mondo esterno. Tale decisione,  sebbene corretta, risulta tuttavia tardiva, esponendo Sara a troppe immagini forti, senza un approccio graduale alla realtà. In balia di un’altalena emotiva, la bambina non è ora in grado di controllare le proprie reazioni, risultando incapace di valutare correttamente la gravità di determinati atteggiamenti.

Eliminato il filtro, alla madre resta pur sempre la facoltà di violare il mondo di Sara, attraverso un display che le mostra in diretta ciò che vede sua figlia.

La ragazza è in tal modo privata, oltre che della privacy, del libero arbitrio, nonchè della possibilità di sperimentare autonomamente le proprie esperienze (positive e negative).

La conclusione drammatica dell’episodio è la tragica conseguenza della situazione patologica che “Arkangel” aveva contribuito a creare.

É fondamentale che i genitori concedano ai figli, soprattutto durante l’adolescenza e la preadolescenza, la possibilità di crearsi una propria realtà privata e segreta. In questo modo, l’ingresso nell’età adulta e il distacco dal nido familiare possono avvenire in maniera fisiologica, permettendo ai figli di divenire pian piano indipendenti e consapevoli di sé.

2018: il nuovo anno vi mette ansia?




Gli ultimi giorni dell’anno portano spesso alla mente tanti ricordi. L’uno di gennaio fa invece sorgere in ognuno di noi speranze, aspettative e nuovi obiettivi.

E se l’arrivo di questo nuovo anno ci facesse sentire entusiasti ma anche un po’ sotto pressione?

Come mai dopo i bagordi di capodanno ci siamo alzati pieni di energie, ma anche inaspettatamente tesi?

Quando un anno termina, si è soliti ripassare mentalmente i momenti, le situazioni e le sensazioni che ci hanno segnato. Si ripensa a come alcune cose siano inevitabilmente finite, cambiate, maturate o peggiorate.

Relativamente ad esseansia; aspettative; nuovo anno, ci si pongono domande su come si potrebbe migliorare e  su cosa si potrebbe cambiare. Ci si osserva dall’esterno, alla ricerca di un’autovalutazione obiettiva:

“Ho fatto tutto il possibile? Di cosa non sono contento? Cosa potrei fare per migliorare?”

Tutti, la notte del 31, ci siamo addormentati cullati dalle stesse domande, sperando di risvegliarci nel 2018 con qualche risposta in più.

Dopo ogni vacanza, è comune che ci si senta più tesi del solito, come se fosse cambiato qualcosa. Ciò vale a maggior ragione dopo la pausa natalizia, sotto il peso delle aspettative derivanti dal nuovo anno.

Iniziare qualcosa, infatti, comporta di norma la nascita di attese e speranze per il futuro, che possono caricarci emotivamente, generando un’ansia leggera e fisiologica. Qualora tuttavia l’asticella venga posta esageratamente al di sopra delle nostre possibilità, può sorgere in noi un eccessivo stato di preoccupazione.

Per quanto possa risultare difficile, abbassare un po’ i propri obiettivi potrebbe essere la soluzione più semplice. E’ importante che questa strategia, però, si applichi senza sminuire la fiducia in se stessi e senza aspirare ad aspettative riduttive rispetto alle proprie potenzialità. In quest’ottica, il fallimento deve essere considerato come un rischio calcolato, e non come una sconfitta. Il nostro scopo non deve essere la perfezione, ma la piena realizzazione di noi stessi.

Cosa succede se si abbassano le aspettative?

L’espediente sopra esposto consente di vivere in modo più spontaneo e leggero la propria quotidianità, godendosi sia i risultati ottenuti, che il loro raggiungimento. La forte tensione, dovuta al timore di non raggiungere gli obiettivi prefissati, può in tal modo essere convertita in “ansia positiva”. È infatti importante ricordare che quest’ansia, quando accompagnata da aspettative congrue, è per noi una grande risorsa e un’importante alleata: essa migliora la concentrazione e attiva le nostre risposte fisiologiche in caso di situazioni di pericolo.

Provare ansia è qualcosa di umano, importante ed estremamente funzionale.

Per questo nuovo anno, è dunque importante chiedersi se le nostre attese sono troppo pretenziose o, al contrario, realizzabili. È necessario domandarsi se l’ansia che si sente sia proporzionata e leggera, come ad ogni nuovo inizio, o eccessiva e sproporzionata rispetto a ciò che ci aspetta.

Richiedere troppo a noi stessi rischia di portare ad un fallimento evitabile e di farci sentire molto più insicuri di quanto siamo realmente. Aspettarsi qualcosa di raggiungibile ed equilibrato, viceversa, può darci la forza di realizzare ogni nostro desiderio.

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Dott.ssa Debora Govoni: deboragovoni2@gmail.com

Il “no!” dei bambini

Quanti di voi si sono imbattuti nella fase del “No!” del proprio figlio a 2-3 anni?

La psicologa  risponde alle tue domande sui comportamenti infantili.

Quanti si sono trovati spiazzati da questo atteggiamento?

Ciò che colpisce i genitori, solitamente, è il cambiamento repentino del comportamento del figlio, prima più accondiscendente e rispettoso nei loro confronti. Il bambino passa da un momento in cui ascolta e rispetta molto il proprio genitore, ad un periodo evolutivo in cui il “No!” è ormai la parola d’ordine a qualsiasi proposta della mamma o del papà.

Quindi, cosa sta accadendo?

Innanzitutto è importante riconoscere e rassicurare voi genitori spiegando come questa fase del “No!” a 2-3 anni, sia una tappa fondamentale ed importante del bambino, che gli permette di cominciare a creare una propria identità e a riconoscersi come “altro” dal genitore. Con il suo “no” il bambino cerca di costruirsi una propria sfera personale, caratterizzata da emozioni e vissuti propri, indispensabile per poter raggiungere una completa fase di separazione dalla figura adulta successiva.

Vi chiederete ora come dovrebbe però a questo punto comportarsi il genitore.

Ok è una fase importante, ma dovremmo lasciarlo libero di fare qualsiasi cosa?

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Assolutamente no. In questi casi, il comportamento del genitoriale dovrebbe permettere al proprio figlio di vivere questa fase evolutiva importante, aiutandolo così a costituire una sua identità,  senza lasciarne però al proprio figlio il completo controllo. In questo modo, potrebbe esserci il rischio di fare “dominare” eccessivamente il figlio, che potrebbe successivamente trovarsi smarrito senza limiti o figure autoritarie di riferimento.

Il genitore potrebbe quindi lasciare, talvolta, al bambino la possibilità di rispondere in modo negativo, mantenendo però un comportamento flessibile, che dall’altra parte continui a porre limiti e a fungere da contenimento per il bambino stesso. Assumendo questo atteggiamento, il genitore dovrebbe cercare di non reagire alle provocazioni del figlio in modo eccessivo, mantenendo  un tono deciso e fermo che faccia sentire il bambino protetto e contenuto adeguatamente. Si potrebbe, per esempio, proporre al bambino di svolgere insieme ciò che gli è stato chiesto e che ha rifiutato, o per esempio posticiparlo a più tardi, dunque accettando il NO del bambino, post ponendo però l’esecuzione del compito a più tardi.

Non esitate a commentare nel caso aveste domande o dubbi in merito, sarò lieta di potervi rispondere!

Dott.ssa Debora Govoni debora.govoni2@gmail.com

Bambini: difficoltà a studiare?

 

difficoltà di studio bambini; psicologia infantile; dsa

 

E’ piuttosto comune che un bambino non abbia voglia di studiare, o che comunque lo studio gli crei qualche difficoltà.

Anche a voi è capitato di vedere vostro figlio deconcentrarsi o avere problemi nello svolgimento dei compiti?

Come comportarsi in queste situazioni?

Ecco alcuni consigli su come affrontare le difficoltà scolastiche.

E’ importante, per il genitore, chiedersi quale sia la causa delle difficoltà e iniziare l’indagine confrontandosi con il proprio figlio.

Un primo ascolto attento permetterà al bambino di sentirsi maggiormente compreso e risulterà utile al genitore per farsi un’idea sulla reale gravità della situazione.

Non tutti i casi sono uguali, ognuno potrebbe infatti evidenziare problemi differenti.

Alcuni bambini potrebbero riscontrare difficoltà inerenti all’apprendimento, oggi comunemente definite Dsa. Trattasi di disturbi legati al  lessico, ai calcoli matematici e alla scrittura. La diagnosi del Dsa è di norma svolta sottoponendo il bambino a test psicodiagnostici specifici, ed è di competenza di un Neuropsichiatra. Molte scuole, in ogni caso, sono dotate di sistemi di screening volti a individuare la problematica, al fine di segnalarla ai genitori.

Potrebbero invece emergere difficoltà di tipo emotivo, metodologico o di concentrazioneNei casi di minore gravità, il problema può essere risolto in ambito familiare, garantendo al bambino ascolto e un aiuto concreto. Qualora tuttavia i rimedi adottati non diano frutti, è opportuno rivolgersi a uno psicologo, concedendo al bambino uno spazio personale nel quale si senta libero di esternare i propri pensieri.

Il bambino potrebbe, per esempio, non sentirsi all’altezza del compito, reputandosi inadeguato. In questa situazione, è fondamentale garantirgli un sostegno forte e costante, che possa trasmettergli fiducia.

Non va escluso a priori, tuttavia, che si tratti di un problema meramente metodologico. In tal caso, la soluzione migliore è aiutare il proprio figlio a inventare un nuovo metodo di studio, più interessante e magari persino più divertente del precedente.

Qualora il problema sia individuabile in una tendenza alla deconcentrazione, occorre individuare ciò che preoccupa il bambino. Avendo dato sfogo ai suoi pensieri, egli potrà così successivamente impegnarsi sul compito con “la testa più leggera”.

In conclusione, in tutti i casi sopra esaminati, l’arma principale che ogni genitore ha a disposizione è il dialogo. Solo attraverso un contatto diretto con il bambino sarà infatti possibile individuare il problema e decidere che soluzione adottare per risolverlo.

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